I due terzi del consumo giornaliero di petrolio, 80 milioni di barili (MBD), sono utilizzati per i trasporti; 29 MBD per il trasporto terrestre delle persone, 19 MDB per il trasporto terrestre delle merci e 5 MDB per il trasporto aereo.
Uno studio recente dell’UE prevede che per i prossimi 20 anni il trasporto su strada rimarrà la principale modalità per gli spostamenti delle persone, il trasporto aereo continuerà ad espandersi. Il numero di veicoli che circolano sul pianeta, oggi 750 milioni, triplicherà entro il 2050 soprattutto per l’apporto dei paesi in via di sviluppo come la Cina e l’India.
E’ universalmente riconosciuto che la produzione mondiale di petrolio sta raggiungendo il picco e che nei prossimi anni ci sarà meno petrolio per tutti. Infatti, dalle stime della IEA e dell’OPEC(più ottimistiche) risulta che il picco della produzione petrolifera si verificherà sicuramente tra il 2010 e il 2020, quindi per alimentare lo sviluppo della società futura occorrerà trovare nuove fonti di energia e contestualmente aumentare l’efficienza energetica dei sistemi usati.
Considerato che il 97% del carburante per i trasporti è un derivato del petrolio e che il 25% delle emissioni mondiali di gas serra (CO2 ) sono dovute ai mezzi di trasporto, ne consegue che lo sviluppo di nuovi carburanti “puliti” è fondamentale per la salvaguardia della qualità della vita della generazione presente e di quelle future.
Allo stato attuale delle conoscenze l’unico risultato raggiungibile nel breve periodo è quello di migliorare l’efficienza (minori consumi ed emissioni di CO2) dei sistemi di trasporto e di incrementare l’uso dei biocombustibili. Contestualmente bisogna favorire tutte le attività di ricerca che nel medio-lungo periodo portino alla possibilità di usare carburanti “puliti”. La ricerca di carburanti diversi da quelli derivati dal petrolio è di fondamentale importanza perchè, anche se si riuscisse a triplicare l’efficienza degli automezzi, la crescita esplosiva dovuta ai paesi in via di sviluppo vanificherebbe tali sforzi.
Quindi, per salvaguardare la salute del pianeta, è indispensabile che il settore dei trasporti passi, in tempi ragionevoli, all’uso di carburanti non derivati dal petrolio e a bassa emissione di carbonio.
Gli unici veicoli senza emissione di gas serra sono quelli elettrici e quelli ad idrogeno. Gli autoveicoli elettrici hanno il problema dell’autonomia, che, anche con le batterie più moderne non è paragonabile a quella delle auto a benzina. Allo stato attuale delle conoscenze scientifiche l’unico vettore energetico pulito più promettente per muovere le persone e le merci è l’idrogeno (H2). Non a caso le maggiori case automobilistiche hanno già realizzato prototipi di macchine ad idrogeno ed hanno in programma cospicui investimenti su questa tecnologia con l’obiettivo di immettere sul mercato auto ad idrogeno tra il 2010 e il 2020.
L’idrogeno, che è la “fonte di energia” del sole, purtroppo sulla terra è un vettore energetico, quindi per produrre l’idrogeno sulla terra è necessario utilizzare una fonte energetica. Ciò ci porta alla ovvia conclusione che l’idrogeno è un combustibile “pulito”, ovvero senza emissione di gas serra, se è prodotto utilizzando fonti di energia pulite quali appunto il solare, l’eolico, l’idroelettrico, il geotermico.
Al momento la maggior parte dell’idrogeno si ottiene dagli idrocarburi con processi di reforming e richiede l’uso di energia proveniente da combustibili fossili, quindi la produzione dell’idrogeno inevitabilmente comporta l’emissione di CO2 nell’atmosfera. Ciò ci porta alla ovvia deduzione che al momento le auto ad idrogeno non sono “pulite, ma semplicemente l’emissione di gas serra viene spostata dalle città alle zone dove sono installati gli impianti di produzione dell’idrogeno. Fin quando l’idrogeno non sarà prodotto da fonti energetiche rinnovabili pulite l’unico vantaggio derivante dall’impiego dell’idrogeno come carburante è che essendo l’emissione del gas serra concentrata negli impianti di produzione dell’idrogeno si possono usare tecnologie che ci consentono di sequestrare nel sottosuolo il carbonio prodotto durante il processo di produzione dell’idrogeno. Le tecnologie per far questo esistono, ma sono poco diffuse, costose e con parecchi problemi ancora da affrontare e risolvere.
La cattura della CO2 nel sottosuolo è un’altra grande sfida per la scienza che riguarda più in generale la produzione di energia dai combustibili fossili (petrolio, carbone e gas naturale) che saranno sicuramente la principale fonte energetica della terra almeno fino al 2050.
Prima che gli autoveicoli ad idrogeno diventino una realtà tangibile è necessario che:
Abbiano un’autonomia paragonabile a quella delle auto a combustibili fossili, ovvero che gli consenta di percorrere almeno 500 Km con un pieno;
Le società energetiche adottino tecniche pulite per produrre idrogeno;
Sia disponibile a livello globale o almeno nei paesi industrializzati un’adeguata rete di distribuzione dell’idrogeno;
e non ultimo il costo e la durata di un’auto ad idrogeno siano economicamente confrontabili con quelle a combustione interna.
In definitiva prima che le auto ad idrogeno diventino un prodotto di largo consumo occorre superare diversi ostacoli tecnologici, economici e politici; in ogni caso prima che ciò avvenga sicuramente dovremo aspettare alcuni decenni.
L’idrogeno, nel lungo periodo, rimane l’unica vera alternativa per ridurre le emissioni di gas serra e il consumo di petrolio a livello mondiale.
Visto che molto probabilmente la produzione petrolifera comincerà a diminuire entro il 2020 e che la richiesta continuerà ad aumentare, soprattutto per le maggiori richieste dei paesi in via di sviluppo, è possibile che l’idrogeno non diventi un’alternativa valida prima del verificarsi della crisi petrolifera. Quindi è urgente accelerare i tempi e fare in fretta per trovare soluzioni alternative al petrolio. Purtroppo questo è un problema che non potrà essere risolto a livello del singolo paese, ma richiede sforzi a livello globale che inevitabilmente si contrappongono agli interessi di alcuni paesi. In questo contesto è indispensabile una forte presa di coscienza delle popolazioni e dei politici Europei che porti l’UE ad elaborare una politica energetica comune al di sopra degli interessi nazionali.
Lo stato della tecnologia e le evoluzioni previste ci portano a concludere che l’idrogeno sicuramente muoverà la seconda metà del XXI secolo, ma occorre fare in fretta.
Nella attesa che la transizione all’idrogeno diventi realtà è opportuno pensare ad una seria politica dei trasporti.
L’unica via percorribile per la gestione del transitorio è quella di incentivare l’uso dei combustibili alternativi al petrolio quali appunto i Bio-combustibili (Biodiesel, Bioetanolo, Biogas) che hanno minori emissioni di gas serra.
In Brasile il 40 percento del combustibile per il trasporto viene dall’etanolo estratto dalla canna da zucchero. Negli Stati Uniti il 20% del raccolto di grano è trasformato in etanolo per ottenere benzina riformulata che ha una combustione più pulita.
Gli USA hanno pianificato di raddoppiare entro il 2012 la produzione di etanolo a condizione che sia ridotto il consumo di fertilizzanti, acqua, gas naturale ed energia per produrre l’etanolo dal grano.
Probabilmente l’uso di combustibili a base di biomasse continuerà a crescere, ma date le scarse conoscenze sull’impatto ambientale di un loro massiccio impiego questa risorsa difficilmente sarà destinata a dominare il mercato dei carburanti, anche se sicuramente rivestirà un ruolo importante.
Essendo l’idrogeno un vettore energetico, il vero problema del pianeta è quello di trovare fonti energetiche rinnovabili in grado di soddisfare l’enorme e crescente fame di energia della terra.
Quindi parallelamente alle attività di ricerca sull’idrogeno è altrettanto urgente concentrare gli sforzi degli scienziati e le risorse economiche nel miglioramento dell’efficienza dei sistemi di produzione delle energie rinnovabili note e nella ricerca di nuove fonti di energia rinnovabili.
Vsta la situazione generale e considerato che l’Italia energeticamente è completamente dipendente dai combustibili fossili (petrolio, gas naturale e carbone) è opportuno che la classe politica e dirigente del paese affronti in maniera seria e bipartisan il problema energetico del paese ed insieme agli esperti dei vari settori trovi alternative valide ai combustibili fossili destinati ad esaurirsi in tempi più o meno brevi.
Personalmente ritengo che la cosa migliore è investire su tutte le fonti di energia rinnovabili compreso il nucleare.
Antonio De Gaetano