La bioplastica è un tipo di plastica speciale prodotta con materiale rinnovabile di origine vegetale o derivante da un’altra fonte biologica non basata sul petrolio. Così è considerata anche la plastica biodegradabile, ovvero che può essere scomposta da acqua, anidride carbonica o microrganismi quando viene compostata, con un processo che avviene in poche settimane piuttosto che mesi.
E’ utilizzata in tanti tipi di articoli, dai prodotti monouso come imballaggi, sacchetti, bottiglie, cannucce, contenitori e posate, agli articoli riutilizzabili, come cover del telefono, protesi mediche, isolamento dell’auto e tubazioni in plastica.
Esistono due tipologie principali di bioplastica: la prima è realizzata a partire dagli zuccheri estratti dal mais, dalla manioca o dalla canna da zucchero, che vengono poi convertiti in acidi polilattici. Il termine comune per questo tipo di bioplastica è PLA.
La seconda è la PHA (poliidrossialcanoati) realizzata a partire da microrganismi. Questi sono privati dei nutrienti di cui hanno bisogno per restare attivi e ricevono invece alti dosaggi di carbonio. Il microrganismo immagazzina quindi il carbonio in granuli, che saranno poi raccolti dal produttore sotto forma di PHA.
Al momento, per compostare queste bioplastiche, vanno riscaldate a temperature molto elevate e le tempistiche sono spesso più lunghe di quelle utilizzate dai moderni impianti di riciclaggio.
Capsule per il caffè, shopping bag, stoviglie monouso; ormai sono molteplici i settori alimentari interessati a questo cambiamento e i polimeri a base bio stanno cominciando a sfidare concretamente le plastiche tradizionali. Di recente è emersa una maggiore attenzione alla sostenibilità degli imballaggi da parte sia delle aziende sia dei consumatori e questo alimenta la domanda di mercato.
Ci sono alcune bioplastiche realizzate, ad esempio, da noccioli di avocado, da rifiuti di carne e da scarti dell’industria del legno o della produzione del biodiesel.
Consentono di ottimizzare la raccolta e la gestione dei rifiuti e di ridurre l’impatto ambientale, apportando vantaggi significativi al ciclo produzione-consumo-smaltimento.
Ad esempio, le stoviglie usa e getta e i contenitori monouso come gli imballaggi, hanno un enorme effetto sull’ambiente: sono difficili da riciclare se contaminati dal cibo e spesso non sono gestiti correttamente dal consumatore. Invece, se realizzati in plastica compostabile, possono essere smaltiti con i rifiuti organici e convertiti in compost. Su questa onda si stanno muovendo quasi tutti i produttori di capsule domestiche per il caffè.
Qui di seguito sono elencati alcuni esempi di applicazione di bioplastiche in ambito alimentare, in fase di studio o già realizzati e che rendono l’idea delle forti potenzialità del mercato delle bioplastiche:
- Film e sacchetti
I fogli in bioplastica possono essere usati per produrre sacchetti per rifiuti organici, buste per la spesa, pellicole per alimenti, pellicole termoretraibili per contenitori di bevande
- Imballi per alimenti
Gli imballi per alimenti in bioplastica possono essere usati per confezionare diversi tipi di cibo, dai prodotti da forno all’ortofrutta, dalle caramelle alle spezie e bevande analcoliche. Sul mercato sono disponibili diversi tipi di imballi bioplastici compostabili.
- Bicchieri, piatti e posate usa e getta
Gli oggetti usa e getta vengono spesso impiegati per picnic, eventi all’aria aperta, contenitori di cibo monouso, nei catering e sugli aerei. Generano una grande quantità di rifiuti difficili da riciclare perché contaminati dal cibo. Se realizzati in plastica compostabile, possono invece essere smaltiti con i rifiuti organici e convertiti in compost.
Fortunatamente la crisi economica dovuta al Covid-19 non ha interrotto la crescita del settore delle bioplastiche in Italia.
Nel 2020 il fatturato complessivo è cresciuto del 9,4% rispetto al 2019, i volumi prodotti del 9,6%, gli occupati del 4,7%. A trainare la crescita è stato soprattutto il monouso (piatti, stoviglie, capsule per il caffé), cresciuto del 116%.
Questo quadro è stato tracciato dal 7/o rapporto annuale di Assobioplastiche, (l’associazione delle aziende del settore) che quest’anno festeggia il suo decennale.
In Italia ci sono circa 278 aziende che producono bioplastiche, con 2.775 addetti dedicati, oltre 110.000 tonnellate di manufatti compostabili prodotti nel 2020 e un fatturato complessivo l’anno scorso di 815 milioni di euro.
Gli shopper (sacchetti monouso per asporto merci) si sono attestati a circa 58.000 tonnellate (+2,7% sul 2019), nonostante la permanenza sul mercato di sacchetti illegali. I sacchetti ultraleggeri per frutta e verdura hanno evidenziato una leggera contrazione (-2,9%). Il film per agricoltura (bioteli per pacciamatura) ha confermato il trend positivo, con un +5% circa, segno della cresciuta attenzione del settore agricolo per l’ambiente. I film per imballaggio (alimentare e non) hanno evidenziato particolare vivacità, con tassi di incremento prossimi al +20%. Il boom c’è stato però negli articoli monouso compostabili, che hanno fatto segnare un +116%. Positivo anche il comparto dei sacchetti per il rifiuto umido (+3,5% circa).
Grazia Crocco