Prima era diverso, per tutti noi.
Prima dei lockdown, prima della cattività dell’uomo conosciuta in tutto il pianeta, “tutto”era diverso.
La libertà fisica con tutta la sua preziosa essenza era preclusa solo ai carcerati, ai prigionieri.
“Nemmeno in guerra, abbiamo provato tanto smarrimento e paura” si sente ripetere spesso dagli anziani. In guerra, infatti, il nemico è visibile, è crudele, ha il potere di distruggerti fisicamente, psicologicamente, ma i tuoi sensi sono capaci di affrontarlo. I tuoi occhi vedono la divisa nemica, in qualche modo sei capace di improntare una difesa. Sai che un giorno avrà fine. Che gli uomini si danno un tempo per farsi del male (la follia e l’irragionevolezza) e poi un tempo per fare pace e stringersi la mano.
La firma su di un trattato (l’ennesimo) e poi la foto di rito.
Una scena, quella della guerra, orribile, stupida in quanto già vista da millenni, ma caparbia. L’uomo che si fa del male. Uomini che si fanno del male reciprocamente. Un’assurdità. Ma è una scena che, almeno in una parte del mondo, non trova più nè spettatori nè attori.
Il nemico invisibile del virus distruttivo e molto spesso mortale, invece, si annida ovunque.
Sembra che in qualche modo esista per sfidare l’uomo e le sue labili certezze.
Già Popper aveva demolito quella che sembrava materialmente la più rassicurante. La scienza. Quella che un tempo si definiva “esatta”, quella matematica, fisica, chimica, per intenderci.
Da qualche tempo lo è fino a che non viene confutata da altre scoperte scientifiche. Le probabilità e non il principio di causa- effetto decidono sempre più i nostri contesti di vita.
Da un momento all’altro può cambiare il “paradigma”di riferimento delle nostre società, nuove sfide possono impensierire o affascinare l’uomo. Così si è scritta la storia. Così è stato finora.
Malattie epidemiche come, ad esempio le pestilenze, ci sono sempre state. E’ vero.
Documenti di vario tipo lo testimoniano. La “spagnola” ( non nel senso che è nata in Spagna), ad esempio, è l’ultima pandemia che all’inizio del secolo scorso ha mietuto più di 50 milioni di vittime in tutto il mondo. E’ diventata nota a molti della nostra generazione grazie a foto di repertorio, articoli di giornale, dati statistici.
Un vero flagello per chi era appena uscito dalla prima e nefasta guerra mondiale.
Per chi era già abituato alle brutture, alle privazioni, alle malattie di ogni tipo.
Persone come noi ma che avevano sicuramente più anticorpi contro il “male” in generale. Più dimestichezza nell’accettare la propria croce e quella dei propri simili.
Oggi con la presenza del nemico crudele ed invisibile del Covid, molta umanità (non tutta) non è più avvezza alle morti improvvise, alla privazione delle libertà, alla mortalità infantile, alla caducità in generale.
L’ansia, oggi, in molti casi, la fa da padrone, perché non si è più abituati alle catastrofi in larga scala.
Noi siamo quelli che amano viaggiare, stare in buona compagnia. Abbracciarci per noi è fondamentale, sentirci come esseri non solo fisici, ma anche spirituali.
E quella che credevamo una barriera ai sentimenti e alla vita reale, la digitalizzazione, si è rivelata una sciocchezza rispetto a quello che stiamo vivendo da un anno a questa parte.
Quando non c’è un nemico così invisibile e molesto come il virus puoi spegnere il cell, il pc e decidere di uscire, di frequentare persone, di godere della bellezza dell’arte, della natura, di fare acquisti, di dedicarti agli altri, di cantare, di nuotare, di andare allo stadio per tifare insieme.
Puoi fare sport, se vuoi, all’aperto o dentro una palestra. Puoi respirare a pieni polmoni, senza preoccuparti se stai infettando un altro tuo simile o se stai per essere infettato.
Tutta la nostra vita è condizionata dall’essere liberi, seppure in un quadro di regole preziosissime per poterne godere appieno.
Non in tutti i Paesi del mondo però la libertà è garantita in una misura sufficiente da permettere alle persone di poter sognare la propria giornata, di poter intravvedere il proprio futuro e di poter ridere, cantare, ballare con spensieratezza.
Questa è una lezione che difficilmente dimenticheremo.
Come non dimenticheremo la condizione di privazione dei carcerati di ieri e di oggi. Quelli chiamati a scontare certamente la propria pena, ma in un modo sicuramente più dignitoso di quello attuale.
La libertà.
Quante volte l’abbiamo data per scontata. Libertà che è costata sangue e lacrime alle generazioni passate, comprese quelle degli “ultraottantenni” e “ultranovantenni” (che ancora oggi versano il tributo più importante in termini di sofferenza, paura e morte) e che ora desideriamo più che mai.
Libertà che ci permetterà di sognare ancora e di sorridere alla vita finalmente a tutto viso.
Cristina Palumbo Crocco