Caro direttore,
ti invio un piccolo contributo alla (ormai cronica) discussione su come aiutare la ns Italia a uscire da questa crisi economica e sociale che affonda le sue radici nel secolo scorso e che si è acuita ancor di più in questo periodo di pandemia.
Penso che tutti siamo d’accordo sul fatto che bisogna preservare il patrimonio di competenze e di capacità produttiva del Paese e migliorare le condizioni per fare impresa. Poiché però le risorse non sono infinite (anzi, sono piuttosto scarse) bisogna stabilire delle priorità, anche in funzione delle urgenze e delle criticità contingenti.
È possibile senza dubbio affermare che una delle priorità o, meglio, la priorità del momento è preservare i posti di lavoro e incentivare le imprese ad assumere ulteriore personale.
Come ha già da tempo affermato il ns nuovo Presidente del Consiglio in pectore “in primo luogo, dobbiamo proteggere le persone dalla perdita del lavoro. Se non lo facciamo, usciremo da questa crisi con un’occupazione e una capacità permanentemente inferiori, poiché le famiglie e le aziende lottano per risanare i loro bilanci e ricostruire il patrimonio netto”. A tal fine Mario Draghi ritiene che “le banche devono prestare rapidamente fondi a costo zero alle aziende pronte a salvare posti di lavoro” attingendo a risorse pubbliche, sotto forma di garanzie.
Un’ulteriore leva per proteggere e incentivare le imprese a salvare e auspicabilmente ad aumentare posti di lavoro potrebbe essere quella di rimodulare il carico fiscale sui redditi da impresa in funzione inversamente proporzionale ai livelli occupazionali, fino eventualmente ad azzerarlo. Si tratta di una leva complementare a quella di mettere a disposizione delle aziende abbondante liquidità a costo zero.
Già oggi sono previsti sussidi e agevolazioni a favore delle imprese che assumono, per esempio, quando attingono al bacino dei cd lavoratori svantaggiati, ma si tratta di misure temporanee. C’è bisogno di un intervento strutturale a favore di chi genera e mantiene posti di lavoro.
Il lavoro, ce lo ricorda anche la Costituzione, ha un enorme valore sociale che prescinde dal contributo al singolo processo produttivo. Sotto questo aspetto tutte le imprese andrebbero considerate “società benefit” e in quanto tali andrebbero tutelate e sostenute. Inoltre la pressione fiscale sui redditi da lavoro è molto più alta di quella sui redditi da capitale e la quota delle imposte sui redditi da lavoro versata allo Stato italiano è senza dubbio ampiamente superiore a quella delle imposte sui redditi da capitale. Pertanto, a parità di altre condizioni, le imprese a maggiore intensità di lavoro generano maggiori entrate fiscali (dirette + indirette) per lo Stato. Inoltre la pressione fiscale sui redditi da lavoro (il cd cuneo fiscale) è in assoluto elevatissima e fonte di pregiudizio per la competitiva del nostro sistema produttivo. Una riduzione del carico fiscale compenserebbe almeno in parte il cuneo fiscale e quindi aumenterebbe la competitività del ns sistema produttivo e accrescerebbe la capacità di attrarre investimenti esteri, nonché indurrebbe i ns imprenditori a riportare in Italia gli stabilimenti produttivi trasferiti all’estero negli ultimi decenni. Infine, incrementando l’occupazione si ridurrebbe la spesa assistenziale e sanitaria.
Quindi meno tasse sui redditi per le imprese a maggiore intensità di lavoro significa più occupazione, più imposte su redditi da lavoro, meno spesa assistenziale e sanitaria.
Insomma, una riforma fiscale che preveda una rimodulazione delle imposte sui redditi da impresa in funzione inversamente proporzionale ai livelli occupazionali, fino eventualmente ad azzerarlo, sarebbe certamente un ottimo affare per tutto il Paese!
Paolo Vittoria